13 novembre 2006

Estrella Polar, il filo rosso della poesia

“Il rigore più fantastico di cui io abbia notizia è stato tirato nel 1958 in un posto sperduto di Valle de Rìo Negro, una domenica pomeriggio in uno stadio vuoto. Estrella Polar era un circolo con i biliardi e i tavolini per il gioco delle carte, un ritrovo da ubriachi lungo una strada di terra che finiva sulla sponda del fiume. Aveva una squadra di calcio che partecipava al campionato di Valle perché di domenica non c’era nient’altro da fare e il vento portava con sé la sabbia delle dune e il polline delle fattorie…”.

Comincia così, in modo semplicemente strepitoso, il racconto dello scrittore argentino Osvaldo Soriano “Il rigore più lungo del mondo” e con esso la meravigliosa avventura della squadra di calcio Estrella Polar.

E la nostra? Dove comincia la nostra avventura?

Mi innamorai di Osvaldo Soriano una domenica pomeriggio di undici o dodici anni fa. La luce che filtrava attraverso le tende tagliava quel giorno adolescente come una scoperta. Il libro s’intitolava “Un’ombra ben presto sarai”, trasudava poesia e parlava di un viaggio. Un viaggio attraverso la Pampa argentina, costellato di personaggi singolari e perdenti tutti alla ricerca di qualcosa, un’occasione di riscatto, un’innocenza forse, più probabilmente di se stessi...

Uno di questi me lo ricordo bene, si chiamava Coluccini e veniva dall’Italia. Con il suo orso avevano messo su due o tre numeri abbastanza ben fatti, così aveva fatto fortuna ed era riuscito a comprare il circo e a fare tournée perfino in Uruguay e in Cile. Poi qualcosa andò storto.
Ora dovete sapere che nel viaggio ci si giocano i ricordi a carte e in una di queste partite Coluccini aveva rischiato di perdere il più bello che gli fosse rimasto, quello di una ragazza di Chubut che una sera aveva assistito al suo spettacolo. Quella sera tutto gli riusciva alla perfezione e mentre camminava sul filo e vedeva la ragazza dall’alto l’aria sembrava piena di elettricità. “Magari venisse sempre”, pensava. Finito lo spettacolo lei era rimasta al suo posto e gli aveva chiesto di rifare tutto. Era felice. Allora lui era tornato al trapezio ed era andato avanti tutta la notte: triplo salto mortale, cavatappi, colombe dal cilindro, altalena e stelle filanti, tutto… fino all’alba, quando la ragazza si era alzata piangendo, aveva lasciato un fazzolettino sulla sedia e se n’era andata.

Ebbene, il giorno dopo aver rischiato di perdere il ricordo Coluccini salì sul municipio e, legatosi uno straccio al collo, si precipitò con una bicicletta sgangherata sui fili del telefono:
“ Stava sul tetto del municipio sopra la bicicletta e mi fece segno finché non fu sicuro che lo stessi guardando. Era imponente e ridicolo lassù a torso nudo e con uno straccio legato al collo come se fosse un mantello. Salutò la folla immaginaria, incrociò le grosse gambe sul telaio della bicicletta, aprì le braccia e si lanciò come un pipistrello disorientato dal sole. Lo vidi passare come in un sogno, sembrava che galleggiasse in aria, rannicchiato tra le circonferenze nere dei cerchioni impazziti. Tutto si svolgeva in silenzio, sotto schiere di nuvole tranquille, con uno schietto sole di mezzogiorno. Lo persi di vista all’angolo, quando passò sopra la Gordini , ma riapparve subito su alcuni cipressi e volò lasciando la sua ombra sopra il tetto della stazione. Sembrò che dovesse fermarsi lì ma si mise su una linea retta e andò a fare un giro verso il campanile della chiesa. Uccelli rapaci gli giravano intorno e mi alzai in piedi per vederlo prendere una curva verso la fine del paese. Sfruttava tutti i fili da palo a palo e rannicchiato com’era rimaneva sospeso in aria simile a un aquilone…”

Adesso non chiedetemi di più, io non ho le parole per descrivere un libro, tanto più che sono passati molti anni ormai e sebbene lo abbia riletto più di una volta davvero non saprei come dire. La poesia però mi è rimasta dentro, non mi ha più abbandonato, e così la vivida sensazione di aver trovato un amico. Sentivo di potermi fidare, che Soriano era quello che scriveva, non c’erano trucchi, e quando più tardi mi informai sulla sua vita capii che questa coerenza aveva significato per lui addirittura l’esilio. In seguito ho letto con gusto altri suoi libri tra cui l’imperdibile Triste, solitario y final, il romanzo d’esordio che lo ha fatto conoscere in tutto il mondo, e i racconti sul calcio, quel fùtbol che Soriano aveva praticato e amava, e di cui da sempre scriveva.

Molte volte ho ripensato a Coluccini e adesso so che l’essenza di quel fantastico volo è un filo rosso e che quel filo intesse le casacche dell’Estrella Polar.

Ecco perché sono sicuro che la nostra avventura cominci proprio da lì, da quella improbabile acrobazia sui fili del telefono a cavallo di una bicicletta sgangherata, nel ricordo sognante di una ragazza di Chubut… alla ricerca di un ultimo, disperato applauso…

L’Estrella Polar è un sogno.


Bene ragazzi. Da qualche tempo qualcuno va in giro a raccontare che Osvaldo Soriano se n’è andato in un freddo giorno di gennaio, ma da queste parti, potete starne certi, nessuno gli crede…

Marco Nino Vietina

3 commenti:

Milk® ha detto...

bello... :-)

Anonimo ha detto...

Che uomo!Non so cosa ti farei!

Anonimo ha detto...

Bravo Marco, sei un grande !!!!!!