Arrivare al Campo Sportivo Chiavacci è un po’ come non essere mai partiti. Ci si sente subito a casa.
Il Centro è immerso nel verde ed è fantastico. C’è il campo a 11 in erba con la grande tribuna coperta, c’è il baretto con la signora che dice: “Oi cche volete?” , c’è l’altoparlante per le comunicazioni urgenti e le formazioni delle squadre, c’è l’omino al baccalino addetto ai biglietti della partita (e chissà, forse all’apertura dei numerosi chiavacci del Centro) e c’è la partita appena cominciata dei ragazzi. Entrando il campo grande è sulla sinistra, il baretto a destra. In fondo, oltre la tribuna e gli spogliatoi, quelli di una volta belli scalcagnati con le piastrelle, le panchine dell’asilo e tutto il resto, c’è il campo a 7. Accanto un altro campetto per i ragazzi (che a prima vista è molto meglio del nostro) e tutto intorno un parco pieno di bambini scorrazzanti e scarrozzati, lupetti e boy scout, mamme e babbi come se piovesse, volonterosi podisti e pure un cinese solitario seduto su una panchina. Il Nino è in estasi. Il nostro campo è molto grande, di quelli con più terra e sassi che erba e la poca erba davvero cattiva, a ciuffi sporadici nel centro e un po’ più omogenea sulle fasce. Un classico campo calvo insomma, però lasciatemelo dire, bellissimo. Le porte sono un po’ più larghe di quelle che utilizziamo di solito ed hanno dei pali enormi e tondi, tutti bianchi, come le porte del campo grande. Ci sono degli avvallamenti che sembra di essere tra le colline di Volterra è vero e pure le tracce ancora ben riconoscibili di una trincea della prima guerra mondiale ma va bene così, davvero va benissimo così. Che bella atmosfera!
Dopo aver preso visione dell’ameno centro sportivo ci rilassiamo un po’, visto che comunque manca ancora molto all’inizio della gara. La meta è naturalmente il baretto, dove Luca finalmente potrà prendersi qualcosa di corposo da mettere sotto i denti. Il Capitano però non ci sente e alla fine opta, indovinate un po’, ancora per un mars. La cosa buffa è che riesce a plagiare tutti i componenti della squadra che a turno come in processione entrano nel baretto sempre chiedendo la stessa cosa per la disperazione della signora che, figuriamoci, ai primi due aveva proposto del biroldo (a Maurizio) e della finocchiona (a Gianmaria): “O’ Mario, oi quant’illè questa barretta?”
Seduti all’aperto con vista sulla partita dei ragazzi mangiamo e beviamo. Sembra davvero in grande giornata Massi Ferro che ne spara una dietro l’altra e comincia insistentemente a parlare di avsura. In realtà dice non sento soltanto avsura ma pure qualcos’ altro… come si dice… avidità, ecco. Sento, avsura e avidità. I compagni ridono di gusto ma l’amabile conversazione comincia a farsi improvvisamente tesa allorquando il Ferro cerca con insistenza di convincere il purista Nino che le parole avsura e avidità hanno la stessa radice. Ma come puoi pensare una cosa simile Massi, sono due parole di significato completamente diverso come se io dicessi che... Ma no Nino, ma cosa hai capito: avsura e avidità, non avidità… a-vi-di-tà! Mi stai prendendo per i fondelli Massi? Bada che queste son cose serie sai! Ma guarda un po’… Nel frattempo Luca ha finito di mangiare la sua terza barretta della giornata ed è talmente allappato che non riesce più a tirare fuori il vocione dei bei tempi e comincia a parlare con una vocina nasale uguale uguale a quella di Troisi nel suo celebre film d’esordio: Ricomincio da tre!
Arriva così il momento di andarsi a cambiare. Nello spogliatoio spuntano le scarpette nuove con i tacchetti comprate per l’occasione dai giocatori stellari ai prezzi più stracciati dell’universo. Il record, stabilito due anni prima dal Nino che per 15 euro aveva comprato delle scarpette grigio-azzurre con un design fantastico addirittura con i lacci laterali, davvero bellissime!, sembra inattaccabile. Maurizio ci prova sottoponendo ai giurati un paio di scarpette nuove di zecca, grigie con bande rosse, acquistate a tredici euro. Mentre la giuria sta valutando se i due euro di scarto sono sufficienti a compensare un design che rimane comunque un po’ retrò, Pietro (probabilmente dopato) sfodera degli scarpini davvero speciali, tutti bianchi, elegantissimi!, acquistati, udite udite! a undici e dico undici euro. Il record è suo!
Premiato il vincitore, indossiamo il completino stellare e ci avviamo con largo anticipo verso il campo da giuoco per il riscaldamento. In realtà fa un caldo della miseria e Riccardo il portiere tutto bardato com’è dopo pochi minuti è talmente sott’acqua che deve intervenire addirittura il pesce che c’è in Pié per tirarlo fuori dai guai. Dopo qualche scambio e qualche tiraccio con cui prendiamo confidenza con il pallone e soprattutto con il terreno l’arbitro ci chiama per l’appello. Nel frattempo ci accorgiamo che gli avversari hanno indossato delle casacche nere ad inserti verdi per cui a scanso di equivoci decidiamo di rispolverare le gloriose casacche bianche a maniche corte dei primordi. Che emozione!
Alla ripresa del riscaldamento Giammino testa l’inguine malconcio e si rende conto che non può calciare con forza, non può tirare. Insomma, considerando anche la pesantissima assenza del nostro amato Danielino, non è che arriviamo all’appuntamento di Prato proprio nelle migliori condizioni tanto più che forse il nostro Capitano, l’uomo-mars, non ce la farà. Siamo tutti all’altezza della metà campo pronti all’ingresso in campo infatti quando l’arbitro chiede se preferiamo salutare il pubblico con un hurrà o con la mano. Quando sente con la mano Luca si precipita a stringere la mano al Capitano avversario che, sorpreso, gliela concede comunque volentieri. Alle loro spalle il Nino e Baldini si guardano per un istante e nonostante la preoccupazione di dover assistere per una seconda volta alla prestazione non di un uomo ma di un frullato, non riescono a trattenere una grossa risata. Come si farebbe senza Luca, come si farebbe!
Schierati a centrocampo espletiamo dunque uno dei più bei compiti del calciatore, il saluto al pubblico, che quest’oggi risulta peraltro formato da tre ragazze locali davvero molto avvenenti (siamo tutti fidanzati o sposati e conosciamo i nostri doveri. Il nostro è soltanto un generico apprezzamento per la bellezza e la grazia che si fanno forma. Per noi sarebbe stato bello allo stesso modo se al loro posto ci fossero state non dico tre delle cinque Demoiselles d’Avignon di Picasso o Le Tre Grazie di Canova (Merci, Danke e Thank you, ndr), ma tre colonne del Partenone, figuriamoci, non è neanche il caso di parlarne. Dico bene ragazzi?). Dico bene ragazzi?
Questa volta però niente ci distrae, siamo concentrati e pronti a dare battaglia per ottenere ciò che serve: la vittoria! (che poi si sa porta con sè la gloria, che a sua volta porta con sè la jolanda, che a sua volta...).
Si comincia!
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